#ThatNotSoShortReview: The Alienist – Caleb Carr

{:it} 5/5

Nella mia lunga carriera di lettrice ho divorato numerosi libri, di diversi generi e più o meno corposi. Ma mai, e dico mai, avevo letto un romanzo in un giorno e mezzo come quello che sto per recensire oggi (e come il suo seguito, “L’Angelo delle Tenebre”, di cui parlerò in un articolo a parte).

Letto a fine 2017, ho scoperto “L’Alienista“, di Caleb Carr grazie alla serie tv che si basa sul romanzo e che sarebbe presto uscita su Netflix poche settimane dopo. “Perché parlare di un libro che hai letto anni fa?”, vi starete chiedendo. Perché è nella mia testa da allora, vivido come i giorni successivi alla lettura, e colgo l’occasione ora che la serie TV è arrivata alla sua seconda stagione.

Dopo il genere fantasy e soprannaturale, il mio cibo quotidiano è fatto gialli e misteri. Di quelli che ti lasciano sulle spine e col fiato corto, di quelli che ti costringono a girare pagina e a bagnarti gli occhi di parole e parole, alla ricerca del colpevole. Questo libro non ha una trama incalzante, non ha grandissimi colpi di scena e il finale è piuttosto blando – infatti, da quanto ho capito, L’Alienista, come avviene per Il Circo della Notte (che, come ho ampiamente detto, ho amato), è un libro indigesto a molti perché lungo, lento, prevedibile e con tanti punti deboli.

La sua bellezza sta altrove (in particolare nei suoi personaggi) e, se mi seguirete, ve lo racconterò nelle prossime righe. Ma prima, la trama.

Dalla trama ufficiale:

Il reporter John Schuyler Moore riceve la chiamata inaspettata di Laszlo Kreizler – psicologo e “alienista” –, un suo amico di vecchio corso. Il dottore lo prega di raggiungerlo al più presto per assistere al ritrovamento di un cadavere. Il corpo è stato orrendamente mutilato e poi abbandonato nelle vicinanze di un ponte ancora in costruzione. La vista di quel macabro spettacolo fa nascere nei due amici un proposito ambizioso: è possibile creare il profilo psicologico di un assassino basandosi sui dettagli dei suoi delitti? In un’epoca in cui la società considera i criminali geneticamente predisposti, il giornalista e il dottore dovranno fare i conti con poliziotti corrotti, gangster senza scrupoli e varia umanità. Scopriranno, a loro spese, che cercare di infilarsi nella mente contorta di un assassino può significare trovarsi di fronte all’orrore di un passato mai cancellato. Un passato pronto a tornare a galla di nuovo, per uccidere ancora.

Le vicende si svolgono nella New York del 1896, quando Théodore Roosevelt, il futuro Presidente degli Stati Uniti, era il capo della polizia a Mulberry Street.

Nella mia infinita ignoranza non sapevo che Caleb Carr fosse un autore contemporaneo, per il semplice motivo che la ricostruzione del periodo storico, della New York di fine Ottocento e della sua realtà corrotta è talmente curata nei minimi dettagli che più di una volta mi sembrava di camminare tra le strade affollate, sporche e puzzolenti, o di mangiare un delizioso piatto seduta da Delmonico’s. New York, in tutta la sua decadente bellezza e piena di contraddizioni, è lo sfondo perfetto e protagonista allo stesso tempo. E la vediamo da una prospettiva diversa da quella bassa dei marciapiedi: saliamo sui tetti, un mondo parallelo, fatto di ombre che si nascondono dietro i panni stesi e si muovono indisturbate e invisibili.

Anche lo stile rimanda a una metodologia di narrazione classica e adatta all’epoca, ossia le memorie di uno dei protagonisti della vicenda, John Moore. È un punto di vista interessante e frustrante allo stesso tempo, per un semplice motivo: John non è sempre presente durante l’azione e scopriamo le novità al suo ritmo, e questo è un ottimo modo per tenere viva l’attenzione e cercare risposte; ma il vero problema sta nei suoi limiti. John non è stupido, ma più di una volta risulta lento e per niente intuitivo, e quei dettagli che diventano palesi risposte per noi lettori, per lui sono solo altre domande. Più di una volta mi sono ritrovata sull’orlo di gridargli contro: “Apri gli occhi! La risposta è lì, davanti a te, porca paletta!

D’altra parte mi aspettavo che il protagonista fosse, appunto, l’alienista, giacché si preannunciava come un raccappricciante viaggio psicologico nella mente di un assassino seriale ed è lui ad affrontarlo in prima persona. Ad essere sincera, avrei preferito che il narratore fosse Laszlo, perché è un personaggio super interessante—e potrei essermene innamorata un pochino—e John è un po’… meh. Ma dei personaggi parlerò più avanti e questi sono comunque gusti personali. Ma il fatto che sia John a raccontare la storia lascia il quantitativo giusto di domande, necessarie a voltare pagina.

L’assassino a cui danno la caccia è una sorta di Jack lo Squartatore americano che si accanisce su bambini entrati nel giro della prostituzione e che si vendono vestiti da donne. Non sappiamo niente su di lui, sulle sue motivazioni, sulla sua malsana logica—solo che tutte le vittime sono giovani ragazzi dimenticati dalla società, che lascia orribilmente mutilati.

«Naturalmente lo faranno passare per matto». Laszlo continuava a rimuginare senza darmi ascolto. «Medici, giornali, giudici, preferiscono pensare che solo un pazzo possa sparare a una bambina di cinque anni. Perché, se si è costretti ad accettare l’idea che la nostra società produce individui sani di mente capaci di commettere atti del genere, si creano delle… difficoltà.»

È questo uno degli aspetti più interessanti di tutta la vicenda: è inconcepibile che una persona sana di mente possa compiere atti così vili, ma il nostro alienista si rifiuta di definirlo pazzo. C’è altro oltre la follia che spinge l’essere umano a uccidere innocenti e dilaniare i corpi, e Laszlo questo lo sa bene. Ne avrà la conferma alla fine, anche se non avrà tutte le risposte che cercava. Questa amarezza bilancia un finale un po’ blando [inizio spoiler, evidenziate il testo per leggerlo]: avrei preferito che l’assassino fosse uno dei personaggi noti al lettore e non un tizio qualsiasi. [Fine spoiler]

Parliamo dei personaggi. Di John Moore ho già parlato un pochino. È un giornalista di cronaca nera per il New York Times un po’ allo sbando, più interessato a bere e a divertirsi, che ad affrontare i demoni che lo tormentano; ma l’occasione che Laszlo gli presenta, svegliandolo nel pieno della notte (per sommo orrore della nonna con cui vive), è quella giusta per rimettersi in carreggiata e dare un senso alla sua vita. C’è una storia orripilante che nessuno ha intenzione di raccontare e lui è l’unico che può dare voce alle piccole vittime, anche se all’inizio è riluttante.

Il Dottor Laszlo Kreizler è… complicato, per usare un eufemismo. È esigente, delle volte sgarbato e chiuso in se stesso, ma il lavoro che svolge e in cui eccelle definisce esattamente chi è: un uomo capace di una profonda, profondissima empatia. Lo si vede anche e soprattutto attraverso gli occhi dei suoi tre fedeli compagni di vita, a cui chiunque altro avrebbe voltato loro le spalle visto il passato da delinquenti: abbiamo la governante Mary, muta da anni e con le mani sporce di sangue; Cyrus, anch’esso un assassino, fedele e pacato; e infine Stevie, un giovane teppistello dalla lunga fedina penale. Ma del resto anche Laszlo, come tutti i personaggi, ha un passato di cui non parla e che preferisce lasciarsi alle spalle, ma a differenza degli altri ne porta le cicatrici in un braccio più corto dell’altro e inutilizzabile. La storia di Laszlo lungo il suo percorso durante la narrazione, mi stringe la gola ogni volta, specie nel finale.

Miss Sara Howard è il mio personaggio femminile preferito dopo Eowyn, probabilmente: è una donna che è ben consapevole delle sue capacità, anche a discapito della società in cui vive, e vuole dimostrare a tutti quanto vale. Ed è molto di più. È compassionevole e non è senza paura. Conosce i suoi limiti e non li supera mai se non è sicura di farcela, e soprattutto tiene lo sguardo verso ciò che conta: trovare l’assassino e fare giustizia.

Non da ultimo i miei due ispettori preferiti, Marcus e Lucius Isaacson. Sono gemelli, ma non potrebbero essere più diversi l’uno dall’altro; eppure, come ogni faccia di una medaglia, si completano alla perfezione. Tra i pionieri dei più moderni mezzi di investigazione scientifica (come l’utilizzo delle impronte digitali, che al tempo non erano considerate prove valide in tribunale), sono una coppia esplosiva: isolati dal resto del dipartimento non solo per le loro idee innovative ma anche per il loro credo religioso (sono Ebrei), in cui l’unica figura amica è quella di Roosevelt, i due non si curano del giudizio altrui e sono proprio la loro mente aperta e i metodi poco ortodossi a dare un grande contributo nelle indagini. Sono svegli e divertenti, e ho adorato ogni loro scena.

Kreizler sottolineò che era inutile considerare l’assassino un mostro in quanto, uomo o donna che fosse, un tempo era stato un bambino. Il nostro compito era innanzitutto  arrivare a conoscere quel bambino, i suoi genitori, fratelli, sorelle e il mondo in cui era vissuto. Tirare in ballo il male, la barbarie e la follia era una sciocchezza, perché nessuno di questi concetti ci avrebbe mai avvicinati a lui. Se, al contrario, fossimo riusciti a catturare un’immagine di quel bambino, forse saremmo riusciti a catturare il nostro uomo anche nella realtà.

Oltre la narrazione per me mai noiosa e i continui colpi di scena, è la profonda compassione che spinge questi personaggi a non voltare le spalle ai reietti il motivo per cui adoro questo libro. Hanno il potere di fare la differenza, di dare voce a chi non viene neppure visto e tanto meno ascoltato, quando potrebbero girare lo sguardo altrove come fanno tutti.

Qualche curiosità sull’autore

Caleb Carr è un romanziere ed esperto di storia militare statunitense. L’Alienista è il suo secondo romanzo (esordì nel 1980 con Casing the Promised Landnel).

Adattamento per il piccolo schermo

L’Alienista è diventato una serie tv, dall’omonimo titolo, che ha debuttato su TNT nel 2018, e distribuita internazionalmente su Netflix. Ha un cast spettacolare ed è più o meno fedele al romanzo. Dico più o meno perché John qui non è giornalista, ma un artista del NYT. E c’è qualche scena un po’ troppo zuccherosa che non era necessario inserire. Ma è da vedere! Non posso esprimermi sul sequel tv, perché non l’ho ancora visto, ma spero abbiano reso giustizia al secondo libro perché l’ho amato quasi più di questo.

Lo avete letto? E avete visto la serie TV? Raccontatemelo nei commenti!

{:}{:en} 5/5

In my long career as a reader I have devoured numerous books, of different genres and more or less chunky. But never, and I mean never, had I read a novel in a day and a half like the one I’m about to review today (and like its sequel, “The Angel of Darkness”, which I’ll talk about in another post).

Read at the end of 2017, I discovered “The Alienist“, by Caleb Carr thanks to the TV series that is based on the novel and which would have been released on Netflix a few weeks later. “Why talk about a book you read years ago?”, you may be wondering. Because it’s been in my head ever since, as vivid as the days following the reading, and I take this opportunity now that the TV series has reached its second season.

After the fantasy and supernatural genre, my daily food is made up of crimes and mysteries. Those that leave you on your toes and short of breath, those that force you to turn the page and bathe your eyes with words and words, in search of the culprit. This book doesn’t have a pressing plot, nor huge twists, and the ending is rather bland – in fact, from what I understand, The Alienist, as it happens with The Night Circus (which, as I have widely said, I loved), is a book indigestible to many because it is long, slow, predictable and with many weak points.

Its beauty lies elsewhere (in particular in its characters) and, if you follow me, I will tell you about it in the next lines. But first, coffee the plot.

Plot:

The year is 1896. The city is New York. Newspaper reporter John Schuyler Moore is summoned by his friend Dr. Laszlo Kreizler—a psychologist, or “alienist”—to view the horribly mutilated body of an adolescent boy abandoned on the unfinished Williamsburg Bridge. From there the two embark on a revolutionary effort in criminology: creating a psychological profile of the perpetrator based on the details of his crimes. Their dangerous quest takes them into the tortured past and twisted mind of a murderer who will kill again before their hunt is over.

The events take place in New York in 1896, when Théodore Roosevelt, the future President of the United States, was the police chief on Mulberry Street.

In my infinite ignorance, I did not know that Caleb Carr was a contemporary author, for the simple reason that the reconstruction of the historical period, of New York in the late nineteenth century and its corrupt reality is so carefully studied that more than once it seemed I could walk through the crowded, dirty and smelly streets, or eat a delicious plate at Delmonico’s. New York, in all its decadent beauty and full of contradictions, is the perfect backdrop and protagonist at the same time. And we see it from a different perspective from the low one of the sidewalks: we go up on the roofs, a parallel world, made of shadows that hide behind the hanging clothes and move undisturbed and invisible.

Even the style refers to a classic narrative methodology suitable for the time, namely the memories of one of the protagonists of the story, John Moore. It’s an interesting and frustrating point of view at the same time, for one simple reason: John is not always present during the action and we discover the news at his own pace, and this is a great way to keep attention and seek answers; but the real problem lies in his limits. John is not stupid, but more than once he is slow and not at all intuitive, and those details that become obvious answers for us readers, are just other questions for him. More than once I found myself on the verge of yelling at him: “Open your eyes! The answer is there, in front of you, holy cow!

On the other hand, I expected the protagonist to be, in fact, the alienist, as it promised to be a creepy psychological journey into the mind of a serial murderer and it is he who faces it firsthand. To be honest, I would have preferred Laszlo to be the narrator, because he’s a super interesting character—and I might have fallen in love with him a tiny little bit—and John is a little… meh. But I will talk about the characters later and these are still personal tastes. But the fact that John is the one telling the story leaves the right amount of questions needed to move on.

The killer they hunt down is a sort of American Jack the Ripper who rages on children who have entered into prostitution and who sell themselves dressed as women. We know nothing about him, his motives, his unhealthy logic—only that all his victims are young boys forgotten by society and he leaves them horribly mutilated.

«They’ll want him to be mad, of course,» Laszlo mused, not hearing me. «The doctors here, the newspapers, the judges; they’d like to think that only a madman would shoot a five-year-old girl in the head. It creates certain… difficulties, if we are forced to accept that our society can produce sane men who commit such acts.»

This is one of the most interesting aspects of the whole story: it is inconceivable that a sane person can do such vile acts, but our alienist refuses to call him crazy. There is more than the madness that drives human beings to kill innocents and tear bodies to pieces, and Laszlo knows this well. He will have confirmation at the end, even if he will not have all the answers he was looking for. This bitterness balances a slightly bland ending [spoiler alert, highlight the text to read it]: I would have preferred the killer to be one of the characters known to the reader and not just any guy. [End of spoiler]

Let’s talk about characters. I have already talked a little about John Moore. He is a crime reporter for the New York Times a little in disarray, more interested in drinking and having fun than in facing the demons that haunt him; but the opportunity that Laszlo presents to him, waking him up in the middle of the night (to the great horror of the grandmother with whom he lives), is the right one to get back on track and give meaning to his life. There is a horrifying story that no one is going to tell and he is the only one who can give voice to the little victims, even if he’s reluctant at first.

Doctor Laszlo Kreizler is… complicated, to put it mildly. He is demanding, sometimes rude and closed in on himself, but the work he does and excels at defines exactly who he is: a man capable of a deep, deep empathy. You can see it also and above all through the eyes of his three faithful life companions, to whom anyone else would have turned their backs given their past as delinquents: we have the housekeeper Mary, mute for years and with blood on her hands; Cyrus, also a killer, faithful and calm; and finally Stevie, a young thug with a long criminal record. But after all Laszlo too, like all the characters, has a past that he does not talk about and that he prefers to leave behind, but unlike the others he bears the scars in one arm, shorter than the other and unusable. Laszlo’s story along his path during the narration, tightens my throat every time, especially in the finale.

Miss Sara Howard is my favorite female character after Eowyn, probably: she is a woman who is well aware of her abilities, even at the expense of the society she lives in, and wants to show everyone how much she is worth. And it is much more. She is compassionate and not fearless. She knows her limits and never exceeds them if she is not sure she can make it, and above all she keeps her eyes on what matters: finding the killer and bringing justice.

Last but not least my two favorite inspectors, Marcus and Lucius Isaacson. They are twins, but they couldn’t be more different from each other; yet, like every side of a coin, they complement each other perfectly. Among the pioneers of the most modern means of scientific investigation (such as the use of fingerprints, which at the time were not considered valid evidence in court), they are an explosive couple: isolated from the rest of the department not only for their innovative ideas but also for their religious beliefs (they are Jews), and in which the only friendly figure is that of Roosevelt, the two do not care about the judgment of others and it is their open mind and unorthodox methods that make a great contribution in the investigation. They are smart and funny, and I loved every scene with them.

Kreizler emphasized that no good would come of conceiving of this person as a monster, because he was most assuredly a man (or a woman); and that man or woman had once been a child. First and foremost, we must get to know that child, and to know his parents, his siblings, his complete world. It was pointless to talk about evil and barbarity and madness; none of these concepts would lead us any closer to him. But if we could capture the human child in our imaginations – then we could capture the man in fact.

Beyond the never boring narrative and the constant twists and turns, the deep compassion that pushes these characters not to turn their backs on the outcasts is why I love this book. They have the power to make a difference, to give a voice to those who are not even seen, much less heard, when they could turn their gaze elsewhere as everyone does.

Some facts about the author:

Caleb Carr is a US military history novelist and expert. The Alienist is his second novel (he debuted in 1980 with Casing the Promised Landnel).

TV show adaptation

The Alienist became a TV series, with the same title, which debuted on TNT in 2018, and distributed internationally on Netflix. It has a spectacular cast and is more or less faithful to the novel. I say more or less because John is not a journalist here, but a NYT artist. And there are some scenes that are a little too sugary that weren’t really necessary. But it is worth seeing! I can’t talk aboutthe TV sequel, because I haven’t seen it yet, but I hope they did the second book justice because I loved it almost more than the first.

Have you read it? And have you seen the TV series? Tell me in the comments!

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